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Music News di Augusto Sciarra

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11-01-2017 13:56

Music News di Augusto Sciarra

(ilgiornale.it)
La signora che incanta il pop ma fa arrabbiare i radical chic. L'artista inglese dei record pubblica un grande disco "live" ma la stampa l'attacca per le sue dichiarazioni pro Brexit.
Il suo primo successo è stato Wuthering heights del 1978 e in quarant'anni ha registrato solo dieci dischi però è rimasta campionessa dell'art rock.  Ha annunciato la pubblicazione di Before the dawn, un disco dal vivo. Parlando a un quotidiano, ha vagamente appoggiato la Brexit dicendo che “il cambiamento è una parte importante della vita”.

Time – Note dal Passato: John Cale (Velvet Underground)
“Ho passato una vita a sperimentare, adoro il nuovo, guardo sempre avanti. Non mi considero mai arrivato. Mi sentirei, però, in trappola se facessi musica per pochi eletti”.

“A metà anni ‘60 eravamo immersi nell’arte, c’erano moltissimi scrittori. Oggi non c’è un luogo come la Factory di Andy Warhol. E’ tutto determinato dai media e dalla tecnologia. Mi piacciono gruppi come: Elbow, Radiohead, Beta Band”.

“Sono cresciuto nel Galles. Amo l’inaccessibilità della città e detesto la tranquillità della campagna. Per rilassarmi preferisco giocare a squash, è il mio modo di staccare con la routine. Seduto al sole, il mio cervello rischia di diventare un uovo fritto. Non sono fatto per la vita campagnola. In città forse si sogna meno, ma si agisce: si può uscire per strada, incontrare la gente per realizzare qualcosa”.

“Ho cambiato stile di vita. A New York vivo abbastanza isolato. Prima stavo sempre in giro, da una parte all’altra della città. La mia vita sembrava un continuo safari. Frequentavo i party nelle case, i club, i bar”.

“L’America era il mio sogno infantile: A dieci anni ero un fan del programma di Alan Freed, in onda su Radio Luxembourg. Nello stesso tempo ascoltavo musica musica classica e suonavo jazz. Ma il jazz non poteva competere con l’eccitazione che procurava il rock & roll. Sognavo sempre New York. Ero convinto che lì ci fosse più energia e che i ragazzi fossero più avanti”.

“La musica era un mezzo grazie al quale potevo integrarmi nella comunità. Era un linguaggio comprensibile a tutti. Era anche un modo per farmi rispettare. In Galles la musica ha un ruolo molto importante. Per me la musica era fonte di tranquillità, un terreno in cui spegnere le passioni, comunicare in un linguaggio comprensibile a tutti”.

“Negli anni ’60, a New York ho sperimentato molta letteratura, molta musica d’avanguardia: John Cage, LaMonte Young, Velvet Underground. L’idea di mettere in campo molte cose faceva parte del paesaggio culturale dell’epoca: guardare i film di Jack Smith, leggere Allen Ginsberg, LeRoi Jones. Nel Lower East Side si facevano proiezioni durante i meeting di poesia, session con strumenti indiani”.

“All’epoca mi piacevano le continue discussioni che avevamo Lou Reed ed io. Lou era un maestro quando scriveva e improvvisava. Prima di formare i Velvet Underground, abbiamo “viaggiato” nella storia della letteratura, discusso su dei concetti, ridefinito gli eroi. Quando sono arrivato a New York ero innocente come un pulcino. Con Lou ho acquisito il senso della strada. Aveva un’enorme capacità di comunicare, in qualsiasi situazione. Ero conquistato dalla sua follia. Quando l’ho incontrato veniva fuori da un trattamento psichiatrico molto duro. Concentrarsi sulla musica e le canzoni gli ha permesso di non pensare al dolore e all’orrore subìto. Sapeva giocare con le parole”.

“Ero andato a New York per studiare musica classica e mi sono ritrovato con LaMonte Young. Dopo quell’esperienza sono passato al rock & roll. Annaspavo per trovare la mia strada, essere originale, riuscire sia sul piano artistico che economico, cercare di ottenere un contratto. Con Lou Reed mi sentivo più sicuro. Quando mi sono ritrovato da solo mi sono chiesto come avrei fatto a trovare un equilibrio fra rock, classica e avanguardia”.

“A Los Angeles avevo una vita confortevole, più soldi. Mi sono innamorato delle auto sportive e di questo genere di cose. La mia vita era basata sui criteri californiani. La mia ambizione era riuscire bene come produttore. Ascoltavo soprattutto i Beach Boys. Abitavo in una casa enorme, con grande giardino. Ma sotto l’apparente solarità delle persone si nascondeva molta follia”.

“Il problema che ho avuto con l’alcol risaliva al periodo vissuto in Galles. Lì se non bevi sei guardato male. Bere è una pratica sociale. Io ero un ambasciatore perfetto di questo tipo di vita. In Galles non fanno differenza tra il bere come fenomeno sociale e come problema personale: C’è stato un periodo in cui bere alterava le mie capacità, mi impediva di fare certe cose. Stavo perdendo la mia vita. Ho avuto paura di non svegliarmi più. Ne sono uscito fuori lavorando duramente perché non avevo voglia di essere ritrovato morto all’angolo di una strada”.

augusto.sciarra@rai.it

 

 

 

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