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Music News di Augusto Sciarra

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26-03-2017 18:09

Music News di Augusto Sciarra

(corriere.it)
Addio a Don Hunstein il fotografo della musica. Per 30 anni alla Columbia Records, ha fotografato con la sua Leica M3 star come Miles Davis, Janis Joplin, Aretha Franklin. Sua la celebre cover “The Freewheelin’ Bob Dylan”.
Don Hunstein, scomparso a 88 anni, uno dei fotografi più importanti della storia della musica, era soprattutto un uomo sensibile. Da ragazzo amava la musica ma quando s’innamorò di un libro di Henri Cartier-Bresson comprò a rate la stessa macchina fotografica del suo idolo e andò a lavorare alla Columbia Records. Erano gli anni in cui la casa discografica aveva sotto contratto Janis Joplin, Bob Dylan, Miles Davis, Aretha Franklin, Johnny Cash, Simon e Garfunkel, Glenn Gould e Leonard Bernstein. Dal 1955 al 1986 Hunstein si alzò ogni mattina per andare al lavoro e scattare più di 100 mila immagini.

Johnny Cash e Miles Davis gli regalarono la loro fiducia invitandolo nelle loro case, lasciandolo libero di curiosare in sala di incisione. Lui ricambiò con gioielli come la foto di Cash che suona sul divano della sua fattoria con la pistola sul tavolino ma anche Cash che abbraccia con tenerezza la moglie June, la solitudine del genio Glenn Gould ripreso circondato da pianoforti a coda, la timidezza della giovane Streisand, Janis Joplin aggrappata al microfono, Aretha Franklin ragazzina del coro gospel catapultata a New York ma con il sorriso sicuro di chi sa di avere l’arma di una voce mai ascoltata prima. E poi, Bob Dylan e Suze Rotolo che passeggiano per il Greenwich Village un pomeriggio di febbraio del 1963, Hunstein che arriva nel monolocale del giovane Bob con il compito di scattare la copertina di “The Freewheelin’ Bob Dylan”.

(ilgiornale.it)
Da Battisti agli Zeppelin. Premiata vita in musica del selvaggio Di Cioccio. Dove c'è grande rock e pop, Franz non manca mai. E ora prepara il nuovo disco della band.
“Io sono born to run, nato per correre come canta Springsteen. Ma sono anche born to be wild come la colonna sonora di quel famoso film: alla batteria, non dimenticatevelo mai, si è selvaggi”. Franz Di Cioccio è una delle poche autentiche leggende del rock italiano. A 71 anni rimane alla Pfm. “Mio padre era un musicista classico, io sono rimasto folgorato dai Beatles, poi ho incontrato i Led Zeppelin e mi hanno sbalordito: ascoltavo i loro dischi rallentati a 16 giri per poter apprezzare attentamente tutti i colpi del batterista. Non sono mai andato a scuola di batteria ma ho deciso di suonare come la sento io. Non a caso la mia carriera è esplosa perché sono fuori dagli schemi”.

“Ho legato molto con Lucio (Battisti) proprio perché mi sforzavo di essere personale nel suono. Ricordo quando, registrando Anna, lui era in studio e mi disse ahò, qui mettice 'na zampata. Era attentissimo alla qualità dei suoni e delle partiture”.

“Ho sempre ascoltato tanta musica e ancora oggi non mi tiro indietro, ho fame di nuovi suoni. Un disco bello di rap va rispettato come un disco bello di jazz. Se ascolto musica, cerco sempre di individuarne il lato bello, non mi interessa esaltarne i limiti o i difetti. In sostanza, voglio capire perché una canzone oppure un suono mi piace, e magari imparare qualcosa di nuovo”.

Parole & Musica: Franz Di Ciccio (batteria; Premiata Forneria Marconi)
“La PFM è un gruppo non classificabile. Siamo etichettati come band progressive,  ma non siamo solo questo. Ascoltare la PFM è una sana immersione nella buona musica, nel sentire solisti e musicisti che hanno molte idee, che hanno una particolare fascinazione soprattutto dal vivo. Sul palco abbiamo la fortuna di divertirci ancora”.

“Abbiamo sempre fatto dischi diversi, diventati a loro modo dei classici. Quando abbiamo fatto “Impressioni di settembre” è stata una rivoluzione musicale. Poi quando abbiamo lavorato con De Andrè abbiamo legato giovani e non. Cambiare è l’elemento importante nella vita di PFM”.

“La PFM aveva alle spalle studi classici. I musicisti avevano l’orecchio rivolto alla musica sinfonica e al melodramma, una passione per l’epicità e la maestosità della melodia. La musica classica diventava uno degli ingredienti del nuovo linguaggio, stemperato con la musica pop del luogo di origine della band. Questo era il progressive rock italiano, un mix di Rossini, tarantella, madrigali, ballare folk, musica celtica, rock, jazz”.

“Il nostro pubblico si rinnova continuamente perché la musica che facciamo è composta da grandi momenti espressivi. Ci sono brani della prima ora, c'è una finestra dedicata a Fabrizio De Andrè, c'è la parte inglese e americana. C'è tutto quello che ci rappresenta. Poi c'è la parte nobile: prendere gli strumenti e improvvisare. Ci inventiamo delle cose al momento”.

“Il Rock Progressivo è un movimento musicale ancora attivo, ma non più forte come negli anni 70. Allora c’erano il jazz, la musica etnica, la classica, tante possibilità che permettevano di variare stile e soluzioni. Oggi la scena musicale è divisa in tanti piccoli torrenti, uno scenario frammentato fatto di rock, pop, rap, funky, disco. Le radio trasmettono solo musica commerciale, da ascoltare e consumare velocemente, Così rimangono solo i concerti a promuovere i buoni musicisti e la buona musica”.

“Negli anni Settanta, quando è nato in Inghilterra, il rock progressivo è stato un movimento culturale che ha infiammato tutta la scena europea. In ogni paese ci sono stati uno o più gruppi che hanno contribuito a far crescere questa corrente. Si tratta di un fenomeno culturale come lo è stato il movimento della Beat Generation in USA per la poesia, o l’impressionismo per la pittura. La musica progressiva ha permesso ai musicisti di esprimersi non solo in una canzone di tre minuti. Il concetto di musica si è allargato e l’album concept è diventato un master piece nella cultura musicale dell’epoca. Lunghe suite e concerti all’aperto, i grandi festival, hanno permesso ai gruppi di esibirsi davanti a masse di giovani che hanno decretato il successo di questo stile musicale. PFM ha partecipato a grandi festival internazionali di allora: Reading Festival, Montreaux, Festival del Jazz di Zurigo, Royal Albert Hall a Londra, Midnight Special e Charlotte Speedyway. Così è diventata la band leader del movimento progressivo italiano”.

“Negli anni 70, lo sviluppo di nuovi strumenti musicali come le tastiere ha favorito l’ascesa di un sound più ricco di orchestrazione e di virtuosismo. La scoperta di sintetizzatori, come il Moog, l’Arp e il Mellotron, ha aiutato tutti quei musicisti che avevano studi classici alle spalle. Hanno potuto così improvvisare con un’ampia gamma di suoni, comporre delle suite. I brani duravano anche 20 minuti: un viaggio nella musica, dove non esistevano barriere linguistiche o di stile”.

“La musica non può essere legata ad una stagione. Si rimane musicisti per tutta la vita. La musica cambia insieme a noi, è in continuo mutamento, segue la nostra contemporaneità. Sperimentiamo, anche con il rischio di non essere subito compresi, ma il tempo ci dà ragione. Le esperienze internazionali, le contaminazioni, l’esperienza americana, ci hanno insegnato nuove musicalità e l’arte dell’improvvisazione, fino a farci diventare una band che non si può racchiudere in un solo genere musicale. Siamo rock, funky, blues, progressive, classici. Tutto questo fa parte del patrimonio PFM”.

“Impressioni di settembre è una bellissima canzone. Il testo di Mogol è molto emotivo. In quanto al moog, sono molto fiero dell’idea. Mi prodigai per avere quello strumento, che non esisteva. Cercavamo suoni innovativi. La frase musicale di “Impressioni di settembre” era molto bella, ma non rendeva con altri strumenti. Con il moog invece arriva direttamente alla pancia di chi l’ascolta. Insieme al Mellotron sono le nostre due innovazioni”.

“Abbiamo fatto scoprire a Fabrizio De André quanto era bella la sua musica, al di là dei testi che poeticamente erano già insuperabili. Era considerato un grande poeta, ma nessuno avrebbe mai detto “che belle canzoni che scrive De Andrè”. Rivestendole della nostra musicalità, delle nostre suggestioni, sono diventate un classico della musica italiana. Con lui abbiamo imparato l’importanza del testo, cosa che fino ad allora avevamo sempre sottovalutato”.

“La musica è un nutrimento della mente, dello spirito, della fantasia. Non si fa abbastanza educazione alla musica. Da piccoli bisognerebbe imparare a frequentare la musica, attraverso uno strumento. Far imparare uno strumento a un figlio è uno dei più grandi regali che gli si possa fare. Io attraverso la musica ho trovato me stesso. Mi piaceva fare il pittore, il musicista, non ne volevo sapere di fare il perito meccanico o il ragioniere. La musica è un linguaggio universale. Puoi suonare in qualsiasi parte del mondo e ti capisce chiunque perché sei dentro una bolla emotiva e trasmetti emozioni”.

“La PFM è un gruppo che ho fortemente voluto. Il gruppo è diventato una specie di mio nuovo DNA. Io sono abruzzese di Pratola Peligna, trapiantato al nord, quindi testardo per indole. Sono stato sradicato dalla mia cultura contadina per essere inserito in una cultura metropolitana. La città in fondo è una giungla, una versione amplificata di un bosco, una giungla d’asfalto dove bisogna sapersi difendere. Io, da buon abruzzese, come un lupo ho saputo individuare il giusto percorso”.

“Noi abbiamo fatto un percorso costruito mattone dopo mattone. Gli artisti che vengono fuori oggi lo fanno quasi sempre attraverso la televisione. Sono spesso dei prodotti più televisivi che musicali. Già al loro primo tour hanno a disposizione palchi enormi, luci pazzesche, situazioni sconvolgenti. I talent show sono delle ottime trasmissioni che danno al gente esattamente il prodotto che vuole vedere. Il problema degli artisti che vengono fuori da queste realtà è che spesso sono come dei piatti già pronti che vengono serviti indipendentemente dall'evolvere dei gusti. Quando noi abbiamo esordito spesso non potevamo esibirci perché non c'erano i posti adatti. La PFM è stata la prima band ad inventarsi un tour rock teatrale”.

augusto.sciarra@rai.it

 

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