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Music News di Augusto Sciarra

Notizie dall’Italia e dal Mondo

13-01-2017 20:11

Music News di Augusto Sciarra

(iodonna.it)
Baustelle: “Rovazzi? La sua è musica per bambini…”. Nel giorno del lancio del nuovo disco, "L'Amore e la Violenza", Francesco Bianconi, il 43enne leader del gruppo si confronta con il panorama musicale italiano. E del fenomeno musicale dell'estate 2016 dice: “Nel suo pezzo Andiamo a Comandare vedo del positivo, un messaggio, una sorta di elogio dello sfigato alla Morrissey”.
“Questo disco per noi è un ritorno al passato, si ricollega ai nostri primi due lavori. È un disco di canzoni pop”. “Per me il pop di riferimento è quello di Lennon, McCartney, Brian Wilson, degli Abba e di Bruno Canfora”. “Siamo partiti da materiali pop di varia estrazione, compresi in un arco di tempo che va dal 1975 al 1980, quello del prog, della disco music, di Amanda Lear”.

(quotidiano.net)
Baustelle, l’elogio delle canzonette. "Musica leggera, ci vuole coraggio". "Nel nuovo cd guardiamo al pop anni ’70, melodico e rivoluzionario".
I Baustelle proseguono quel percorso di archeologia sonora che nel 2003 aveva spinto i suoni del loro secondo album tra le braccia degli anni Ottanta provando a risalire, se possibile, ancor più indietro nel tempo. In quei suoni e in quegli umori lontani i Baustelle hanno cercato la chiave musicale per parlare di Turchia, di Brexit, del caso Moro, di Amanda Lear e ancora di “interventisti, jihadisti e scambisti, epicurei, etero, gay, giovani rapper, occultisti e dj".

(corriere.it)
Luzzatto Fegiz, l’autobiografia. Storie e cattiveria in musica. In libreria “Troppe zeta nel cognome”, una raccolta di ricordi che spaziano nell’Italia televisiva e canora. L’ex “nemico” Pippo Baudo firma la prefazione.
A Trieste comincia la storia di Mario Luzzatto Fegiz. “Trieste per me vuol dire barca, mare, prime cotte e spritz. Ma anche amor di patria. Noi aspettavamo con ansia il ritorno di Trieste all’Italia. Usavamo un’espressione che coglieva in pieno il malessere che provavamo: Xe che noi non semo italiani, ma no podemo esser gnente altro”. Il padre Pierpaolo, statistico, fonda la Doxa. Mario si appassiona subito alla musica. Prima al liceo Tasso, dove fa politica con i giovani liberali e conosce Paolo Mieli. Poi in Rai, dove lavora con Renzo Arbore nella stanza accanto a quella di Maurizio Costanzo. Infine al Corriere. Luzzatto Fegiz intuisce che un critico, per diventare noto e potente, deve parlare male di molti. E comincia a farsi nemici. Il libro è un racconto divertente e affascinante di mezzo secolo di Sanremo e di musica, da Sting a Elton John, da Jannacci a Gaber, da Bocelli a Pavarotti, dai cantautori al “rocker rurale” Ligabue.

Due immagini vanno fermate fin da ora. La prima è quella di Vasco Rossi al funerale di Fabrizio De André: “Genova, 13 gennaio 1999, Basilica di Santa Maria Assunta in Carignano. In un angolo della chiesa Vasco piange da solo. Disperazione e dolore di un uomo semplice. Non ha amici, non ha scorta. Nessuno osa avvicinarsi. Il suo strazio è la sua difesa”. La seconda è la lettera di scuse a Gino Paoli, dopo che Mario ha pubblicato in prima pagina le confidenze strappate al telefono sulla vicenda dei conti esteri: “Caro Gino, ti ho fatto del male. Ho tradito una persona, prima che un artista, che negli anni mi è stata vicina nei momenti difficili. Ho tradito uno dei pochi — o forse l’unico — che non se lo meritava. Il rimorso non mi abbandona e nemmeno la consapevolezza di cosa hai rappresentato e rappresenti nella mia vita. Scusa dal più profondo del cuore. Mario Luzzatto Fegiz, Milano 22 settembre 2015”.

(avvenire.it)
Analisi. Streaming e vinile, gli estremi che rivoluzionano la musica. Dopo la fine dei Cd, sta volgendo al termine anche la stagione dei brani scaricati dalla rete. Oggi a prevalere sono i servizi come Youtube o Spotify che permettono di ascoltare senza possedere.
All’inizio c’erano i cilindri di cera, poi sono arrivati i 78 giri, i 33 giri, i compact disc, gli Mp3 venduti da servizi come iTunes e infine la musica in streaming con servizi come Spotify, Deezer e Apple Music. Negli anni la musica è diventata un “non oggetto” da usare e consumare da soli e con le cuffiette. Un bene da “noleggiare” da servizi come Spotify, Deezer e Apple Music. Una scelta che fanno nel mondo circa 736 milioni di persone. Cento milioni attraverso Spotify, 20 milioni con Apple Music e 16 milioni con Deezer.

Secondo la ricerca commissionata da Google a Kantar TNS, oltre la metà degli utilizzatori di YouTube (56%) usa il più grande servizio di video streaming del mondo per ascoltare musica. Stiamo parlando di 560milioni di persone. In Italia, secondo Fimi, la Federazione delle Industrie Musicali Italiane, l’89% di chi usa YouTube lo fa per ascoltare musica. La maggior parte di noi non solo non acquista più musica, ma la ascolta senza volerla possedere. Secondo gli ultimi dati di mercato, la musica “liquida” ha superato anche in Italia il mercato del prodotto fisico rappresentato dal Cd e dal vinile, attestandosi al 51% del mercato.

All’orizzonte si è affacciato un supporto che veniva dato per estinto. Stiamo parlando del vinile. Dei vecchi album a 33 giri (e dei singoli a 45 giri). A trainare il rilancio del vinile non sono solo i nostalgici ultracinquantenni, ma anche molti ragazzi che stanno riscoprendo il valore di ascoltare la musica attraverso i dischi a 33 giri.

Time – Note dal Passato: Giorgio Gaber (Milano, 25 gennaio 1939 – Montemagno di Camaiore, 1º gennaio 2003)
“Il Festival di Sanremo l’ho vissuto da spettatore quando ero piccolo. Ricordo la vittoria di Domenico Modugno con “Nel blu dipinto di blu”. E’ stata una festa nazionale. C’era la televisione che testimoniava un evento che prima era solo radiofonico. Era una specie di occasione socializzante per tutti gli italiani. Allora il fatto discografico c’entrava poco, era la canzone che contava. Quando sono arrivato io cominciava ad esserci una battaglia discografica, un gioco al massacro con i cantanti che si dividevano tra perdenti e vincenti, tra quelli che erano eliminati e quelli che arrivavano in finale. In quelle occasioni eravamo tutti sottoposti a uno stress notevole. Un cantante che andava a Sanremo poteva giocarsi la carriera. Questa cosa aveva un rilievo discografico e commerciale, e forse ancora un senso. Poi è sparito perché discograficamente è venuto meno quel risalto che aveva negli anni ’60. Ora è tornato come trasmissione televisiva, come uno spettacolo di Rai Uno, è un’altra cosa ancora”.

“Nel 1967 ho condotto uno spettacolo televisivo insieme a Caterina Caselli: “Diamoci del tu”. In quel periodo ero ancora alla ricerca, impreciso, poco rigoroso. Ma la trasmissione aveva un sapore piacevole, c’era un gusto tutto particolare di fare le cose. Convivevo con la musica leggera faticosamente. Stavo con un piede nello spettacolo teatrale e l’altro nelle canzoni e nella presentazione degli spettacoli. Poi ho cominciato ad avere un po’ più di consapevolezza, una maggiore maturità e convinzione”.

"Dal ’72 vado ripetendo che le classi non esistono. Non ho mai pensato di fare spettacoli ideologici o politici. Sono andato nelle tende, nelle periferie, perché i teatri “normali” non mi volevano. Ogni teatro si definisce per lo spettacolo che ospita. Il Sistina è uno dei pochi che risponde alla logica della risposta del pubblico, mentre ovunque trovi quella della lottizzazione".

“Ho criticato molto il ’68, ma adesso ho dei rimpianti. Il fanatismo di allora mi dava fastidio. Ma c’era anche un’ansia di conoscenza che era bellissima. Non si ascoltava la televisione, perché c’era una voglia, un bisogno collettivo di controinformazione da assumere in maniera autonoma. C’era in giro una curiosità intelligente, che rimpiango moltissimo”.

“Adesso siamo soli tutti. Prima sembrava che tutti potessimo essere compagni di strada. Adesso vince il salottismo, la chiacchiera, e la futilità dell’incontro”.

“Jannacci, Paoli, Tenco, Bindi, Endrigo ed io eravamo una piccola comunità di lavoro, di verifica, di mutuo soccorso creativo. Spesso anche di mutuo soccorso finanziario. Furono dolori per conquistare un posto al sole. Dai diciotto ai trent’anni, il mio mestiere è stato quello del cantante. Poi mi sono stufato di accettare qualsiasi cosa, le regole soffocanti del mercato. Ho cambiato il mezzo. Ho scelto la canzone-teatro. Il che mi ha permesso di approfondire il mio discorso di osservatore della realtà e di non soccombere a quel che è successo nell’universo della musica leggera. Sono ancora in piedi e ho il privilegio di fare soltanto le cose che mi piacciono”.

“Sono convinto che la politica ha poche possibilità di risolvere i nostri problemi. Esasperare certi contrasti fa bene solo alla politica e non al Paese. La canzone “Destra-Sinistra” nasce per smontare questo dualismo così violento e riportare tutto alle cose che riguardano la gente e che interessano al Paese”.

“Sono arrivato a un livello di assenza quasi totale. Ascolto poco, leggo poco, non mi entusiasmo quasi per nulla, sono molto chiuso. I miei riferimenti musicali sono stati nel passato più numerosi. Attualmente non mi rifaccio a nulla, sento poche cose e poche cose mi stimolano”.

“Il Santa Tecla era l’ombelico dei musicisti di Milano. Si suonava jazz, ci si esaltava parlando di Charlie Parker. A notte alta si scatenavano poeti come Jannacci,  Celentano imitava Jerry Lewis cantando in dialetto milanese. Era una specie di cave parigina. Ma quando all’alba uscivamo a respirare l’aria fredda, la nebbia ci ricordava che eravamo tutti figli della Madonnina".

“Giorgio Strehler: un maestro irripetibile. Quando debuttai nel suo Piccolo Teatro di via Rovello con "Il signor G", mi sentivo orgoglioso di portare il suo stesso nome. I Gufi: quattro folletti che trasformavano la nebbia in una nuvola fantastica. Enzo Jannacci: n fratello generoso come Marcello, mio fratello di sangue. Adriano Celentano: un cugino, sicuramente di primo grado".

“Io canto che il culatello è di destra e la mortadella di sinistra, o che la cioccolata svizzera è di destra e la nuteIIa è ancora di sinistra. Mentre non so, tra capitalismo e consumismo, chi mi ha deluso di più”.

“Il mondo occidentale mi suscita orrore, l’Italia tristezza. La sento travolta da un’inarrestabile decadenza. Le faccio un esempio attraverso la televisione. Ho contribuito alla prima fase della tv italiana: noi che la facevamo eravamo sorpresi e intimiditi dalla forza del mezzo (in 45 secondi diventavi qualcuno in tutto il Paese). La Tv era un luogo che intimoriva all’interno e suscitava entusiasmi all’esterno. Adesso sono allegri quelli che la fanno e annoiati quelli che la vedono. L’individuo è ormai travolto dal mercato e dal consumo, non abbiamo saputo dare un senso al superfluo. Il difficile dopoguerra dei nostri genitori ci aveva messo davanti un mondo in cui avanzare verso il meglio. Noi invece lasceremo ai nostri figli solo incertezza sul futuro. Oggi si fa un gran dire: i genitori devono parlare coi figli. Sì, ma di cosa, se non hanno più niente da dire? In questo senso la nostra generazione ha perso, è passata dall’opposizione ai padri autoritari al nostro niente, a un’autorevolezza mancata. Vengo dalla guerra, da una città distrutta. Noi avevamo davanti un mondo tutto da conquistare. Nei ragazzi di oggi sento il rischio della mancanza di un futuro da conquistare, che li fa oscillare fra il velleitarismo e la depressione”.

“Pasolini sosteneva che non poteva esserci progresso senza sviluppo, ma che poteva esistere uno sviluppo senza progresso. Noi stiamo vivendo un’epoca dove c’è sviluppo, ma non c’è progresso”.

augusto.sciarra@rai.it

 

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